Quando nell’estate del 1993 il Cagliari si preparava ad affrontare dopo 21 anni una competizione europea, la Coppa Uefa, nuovo direttore sportivo venne nominato Sandro Vitali. Questi, non più giovinotto, era una vecchia volpe del calciomercato. Arrivato dal Milan, dove aveva vissuto una vita (in rossonero aveva addirittura esordito da calciatore in serie A), nell’ultimo periodo era una sorta di osservatore di fiducia del duo Galliani-Braida, che rappresentavano rispettivamente il numero due e numero tre nell’organigramma societario di Berlusconi.
Vitali era stato nella seconda metà degli anni cinquanta e nella prima degli anni sessanta un discreto giocatore di serie A e B militando a lungo nell’Alessandria e due anni a Napoli, nel ruolo di ala e centrocampista. Amava moltissimo i giocatori dotati dal punto di vista tecnico, e raccontava sempre di come il giovedì i tifosi dell’Alessandria riempissero le tribune dello stadio Moccagatta non già per vedere la prima squadra, ma le magie di un ragazzino 14enne che si chiamava Gianni Rivera e che veniva schierato fra le riserve nelle partitelle contro i titolari.
La passione dei calciatori che sapevano dare del tu al pallone gli era rimasta, e così quando il Cagliari si trovò nella condizione di prendere l’erede di Francescoli, Vitali puntò dritto sull’uomo mercato del momento, Massimiliano Allegri, che nel Pescara di Galeone pur giocando a centrocampo aveva messo a segno 12 reti al primo anno da titolare in serie A.
Partendo dal presupposto che chiunque avesse dovuto prendere il posto del Flaco sarebbe partito con un carico di responsabilità enorme sulle spalle, pur apprezzando le indubbie conoscenze di Sandro Vitali in materia calcistica, su quell’acquisto non ero per nulla d’accordo. Per un semplice motivo: ho sempre diffidato dei giocatori che giunti più o meno a metà della loro carriera vengono da una stagione eccezionale come era stata appunto la precedente per Allegri. Perché si pagano uno sproposito e non è detto che si confermino.
Infatti Allegri venne annunciato dal presidente Cellino come l’acquisto più costoso della storia del Cagliari di allora: 12 miliardi di lire. In realtà venne pagato 8, ma erano sempre tanti soldi che nonostante qualche lampo di luce non erano stati ben spesi.
Eppure benedissi quell’arrivo perché da un punto di vista giornalistico il buon Max era il massimo che si potesse sperare. Sempre di buonumore, arguto, non mancava mai di rendersi a disposizione con la stampa. Ma soprattutto non rilasciava mai una risposta banale, praticamente ti regalava un titolo su ogni dichiarazione che faceva. Ricordo dopo la gara di ritorno col Malines al Sant’Elia, mi fece fare un figurone col mio direttore della Nuova Sardegna, il compianto Livio Liuzzi, livornese come lui.
Tanti anni dopo, incontrai Massimiliano quando tornò in Sardegna per sedersi sulla panchina del Cagliari. Per inciso il nono posto del campionato 2008-09 da lui ottenuto è stato il miglior risultato negli ultimi trent’anni di storia della massima serie rossoblù. Era sempre disponibile e simpatico, ma cominciava a cambiare.
“i ruoli sono diversi” mi rispose ufficialmente in un seminario organizzato a Coverciano dall’Unione stampa sportiva, quando già si era appuntato sul petto il primo scudetto da allenatore col Milan nel 2011.
Magari non regalava più un titolo al giorno, ma se qualcuno lo toccava rispondeva in maniera sarcastica anche ai mammasantissima della professione tipo Sacchi o Mourinho. Poi sono arrivati i cinque scudetti di seguito (record per un allenatore nel nostro campionato) e le coppe nostrane con la Juve, neanche sbiadite dalla Champions che per due volte non è riuscito ad acchiappare.
L’errore è stato quello di fermarsi due anni e soprattutto di rifiutare il Real Madrid per tornare in bianconero. Agnelli gli ha fatto firmare un contratto d’oro che è stato anche una prigione per lui. Perché in tre anni non ha vinto che questa coppa Italia (altro cinque e altro record), ma soprattutto il nuovo padrone Elkann che ha voluto cancellare l’epopea dei nove scudetti di Andrea Agnelli, non vedeva l’ora che se ne andasse perché costava troppo. Così l’anno scorso ha nominato il nuovo direttore generale Giuntoli con l’incarico di giubilarlo per liberarsi dell’ingaggio che il livornese guadagna ogni anno.
Lavorare per un anno intero col nemico in casa non è una di quelle esperienze da raccontare con gioia, così si spiega il dopopartita assurdo di ieri. Allegri passando dalla parte del torto ha esagerato così tanto da fornire alla società buoni motivi per non dovergli pagare l’ultimo anno di contratto. E se adesso partiranno le carte bollate, di sicuro per il buon Max non si prospetta a breve un futuro simpatico. Il precedente di Andrea Agnelli e dello stesso Pogba pur molto differenti fra loro fanno capire che quando la società di John Elkann si mette una cosa in testa, di riffe o di raffe la ottiene.
Concordo su tutto
Finalmente un’analisi precisa e veritiera